Una delle principali sfide è
prevedere quanto durerà un'eruzione, quanto grande sarà la sua dimensione, e cioè, quale sarà il volume di lava che sta per eruttare.
Rispondere a domande così impegnative
richiede un profonda conoscenza del sistema magmatico, buoni esempi e molti dati multidisciplinari.
Attraverso l'applicazione di una tecnica sismologica denominata
"Tomografia Sismica 4D" un team di ricercatori dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha definito la
struttura dell'Etna, dai crateri sommitali fino a 10-12 km di profondità, scoprendo che al di sotto della parte centrale del vulcano sono presenti tre zone che
rallentano le onde sismiche determinandone un aumento dei tempi di percorso, gli scienziati hanno interpretato queste anomalie come
zone fratturate ad alta temperatura contenenti una percentuale di magma pari al 4% del volume complessivo, quantità che può alimentare l'attività eruttiva per diverso tempo.
All'accadimento di un terremoto, l'
energia sismica, sotto forma di onde elastiche, viaggia all'interno della struttura vulcanica e, attraversando volumi di crosta fratturata contenente magma e fluidi magmatici,
subisce rallentamenti che ci permettono di definire dove è probabile che il
magma sia contenuto, in questo studio si è calcolato la variazione delle velocità delle onde sismiche negli ultimi anni per verificare la presenza di nuovo magma ed eventualmente i volumi in gioco,
identificando una zona profonda e piuttosto estesa, posizionata tra 4 e 9 km di profondità, e
altre due zone più superficiali e di dimensioni più ridotte, prossime ai crateri sommitali, in cui le onde sismiche sono particolarmente lente.
Diversi studi concordano sul fatto che la dinamica del vulcano è stata prevalentemente condizionata da processi intrusivi, cioè di
risalita del magma, accompagnati da attivazione delle faglie sul fianco Sud-orientale del vulcano e dalla instabilità del fianco orientale, che si manifesta con dei rapidi fenomeni di scivolamento verso il mar Ionio,
questi due processi sono fortemente connessi in quanto l'intrusione innesca lo scivolamento del fianco orientale che, a sua volta, può favorire le eruzioni stesse depressurizzando i condotti vulcanici centrali.
Con questo studio si ipotizza che il magma proveniente dalle parti più profonde della crosta giunga in questa prima zona di accumulo e che il nuovo magma crei una pressurizzazione del sistema innescando gran parte della sismicità che si osserva all'Etna tra 4 e 12 km di profondità, da queste profondità assistiamo a risalite magmatiche nelle zone di accumulo più superficiali, testimoniate dall'incremento della sismicità, che possono alimentare fasi eruttive come è accaduto negli ultimi mesi.
Il magma si accumulano dal 2019
in tre serbatoi situati a diverse profondità nel sistema di alimentazione centrale, in questi tre volumi, osserviamo una significativa riduzione della velocità delle onde sismiche, un'anomalia che dura da quasi due anni, sono di dimensioni diverse ma sono tutti ben distinti,
R-3 è profondo e allungato, il principale accumulo di magma è distribuito verticalmente e attribuito al bordo del corpo ad alta velocità, invece il volume di
R-2 e R-1 sono più piccoli, ma zona di residenza permanente per
il magma che alimenta fontane di lava e attività esplosiva dei crateri sommitali.
Le osservazioni permettono lo sviluppo di un
modello concettuale di dinamica dei vulcani, dove terremoti crostali molto profondi ( > 12 km) intorno al vulcano, sono
il primo segnale di nuovo magma in salita dalla sorgente del mantello.